Lettera alla G*

Introduzione

Qualche mese fa ho iniziato un percorso di conoscenza di sè all’interno di una Scuola esoterica. Ho deciso di mollarlo per un senso di gabbia interiore che mi ha suscitato la sua frequentazione, laddove l’intento della scuola doveva essere proprio quello di “liberare” potenzialità inespresse e addormentate, soffocate dalle nostre abitudini. Pian piano però l’attenzione alle abitudini “vincolanti” si è rovesciata dentro di me nell’impossibilità a stare nell’autentico flusso interiore della mia vita, soffocando libertà e intuizioni. Allora ho preso la decisione di allontanarmi da questa comunque rispettabile via, e l’ho fatto volendo condividere le motivazioni interiori di quella che è stata la mia naturale scelta.

La condivisione in questo spazio protetto, libero e non giudicante, è come al solito uno stimolo per potersi guardare dentro attraverso il tentativo di sincerità di un altro, che può evocare in noi simili sentimenti, sensazioni, riflessioni, e farci accettare cosa ci smuove da dentro con un ascolto il più possibile presente.

Contenuto della lettera:

Caro X* e amici della G*

Vi scrivo perché ho deciso di mollare il percorso, e perché per me in questa scelta è fondamentale darvi un feedback e provare a spiegarne, e magari comprendere insieme a voi, riflettere insieme a voi, sui motivi.

Sicuramente la questione è molto complicata, e una prima cosa che vorrei dire è che con questa scelta non metto in dubbio la Bontà, l’Intenzione e il Cuore del vostro insegnamento. Trovo infatti delle persone molto aperte, alla ricerca continua del miglioramento delle proprie condizioni intime di vita, e di quelle dell’ambiente, anzi Ambiente, in cui tutti noi oggi viviamo, condizioni che sicuramente sono tragiche, più che da un punto di vista solo ecologico intendo di consapevolezza di Sé, della propria natura, delle proprie potenzialità “divine”; quindi lo scopo della Scuola così onorevole di aiutare le persone, attraverso gli strumenti cui le dota, di risvegliare la loro Essenza, la loro vera natura addormentata, perché è davvero così, e anch’io lo percepisco ogni giorno, ovunque mi volti (in città, in famiglia, in TV, tra amici, nei locali, e anche purtroppo presso l’Università), è uno scopo, dicevo, importante, giusto, Sincero e Urgente. Questo è uno dei motivi per cui in questi due mesi sono stato entusiasta di seguire il (e interessarmi al) vostro percorso. E questo è anche il motivo per cui non mi va di abbandonarvi di punto in bianco senza aver dato le mie motivazioni, che sono l’altra faccia della medaglia, e che quindi possono essere anche dei rischi che si possono incorrere nell’imbattersi in una “G*” così urgente. E’ dunque il rispetto per voi, e l’insegnamento per la mia vita che ho tratto da questa esperienza, che mi costringe a chiudere il cerchio con questa lettera quanto più possibile sincera, e a non lasciarmi muovere solo dall’immediatezza del mio sentire, ma a provare a riflettere insieme a voi appunto.

Condivido gli intenti del vostro insegnamento, dicevo. Ed è incredibile lo sforzo che ha fatto il Maestro S* di studiare i vari pezzi del puzzle storici e geografici di tutto il mondo su ciò che è la Saggezza, la Presenza a sé e al mondo, la consapevolezza delle proprie potenzialità e i significati dei simboli Umani, e anche la sua Umiltà nel considerare ognuno di questi pezzi del puzzle una parte sincera e vera dell’insegnamento, e Maestri i suoi portatori.

Tuttavia, quella è stata la “sua” opera, la sua esperienza, il suo sacrificio. Lo scopo della vita di ognuno di noi penso io che sia diverso da quello di ogni altro. Mi viene in mente una distinzione che c’è nell’induismo tra “sanatana-dharma” e “sva-dharma”, con il primo che indica il Dharma, la Legge morale che dovrebbe muovere i comportamenti di una persona realizzata, all’apice della perfettibilità dell’umano, e il secondo che indica il punto preciso in cui ognuno di noi è arrivato nel proprio sviluppo, e dunque la realizzazione della cosa giusta PER SE’. Ecco nella Baghavad-Gita ad esempio Krishna incoraggia Arjuna a seguire il proprio dharma, lo “sva-dharma”, che per il livello di sviluppo spirituale a cui è arrivato è cosa migliore perfino del rispondere alla Legge Giusta per l’uomo perfetto e realizzato. Ho preso questo mito perché ha avuto una forze valenza attrattiva su di me da quando l’ho letto, facendomi capire che io ho una sola, grande responsabilità nella mia vita, ed è quella di prenderla in mano e comprenderla nel modo più autentico possibile, DAL MIO INTERNO.

Cominciando a fare questo da qualche anno ho notato un grande cambiamento nella qualità della mia esperienza interiore, e mi sono mosso nell’Ambiente verso ciò che ha attirato questa possibilità di sentirmi sempre più presente a me stesso. Dopo il liceo ad esempio sono andato in Inghilterra per lavorare, poi però ho deciso di tornare ed iscrivermi all’Università in psicologia, proprio per ripristinare un contatto autentico con me stesso; i primi 3 anni non ce l’ho fatta, anche se ogni cosa abbia fatto sento che sia andata sempre di più verso quella direzione, verso la “mia” direzione. Negli ultimi 4 anni però le cose sono cambiate radicalmente, e ho capito come vivere “fidandomi” di me stesso, del mio “non-ancora possibile”, del mio “istinto spirituale”; e facendo questo, ho riscontrato che le persone mi vedevano sempre di più per quello che ero “internamente”, non nei miei comportamenti. Mi sentivo brillare gli occhi nell’ascoltare altrui esperienze di vita e nel parteciparvi in modo silente e curioso, e mi veniva detto che mi brillavano gli occhi e si sentivano ben compresi da me data la mia grande apertura e sincerità. Allora ho creduto che affrontare tutti i miei “punti in sospeso”, piano piano, con i miei tempi, senza forzature, ma attenendomi ad un Ascolto Costante di me nella situazione che nel presente, come se fosse la prima volta, mi si presentava, sarebbe stato un grande investimento, lo scopo della mia intera vita. E per fare questo però avevo bisogno di VUOTO, di vuoto mentale, di sapermi osservare da fuori tenendo come indice della mia Presenza Interiore non giudicante la leggerezza e la qualità del mio sentirmi, del mio respirare, del mio “sorridere dagli occhi”, ed era incredibile l’effetto di pace che si riusciva a creare con l’Altra persona, o anche di conflitto, di quelli però che sei Felice di fare perché senti che quella è la situazione giusta per confliggere, perché lì c’è un “nodo” da sciogliere sia nella mia vita, che in quella dell’altro, e come se il Ringraziamento all’Altro al termine del conflitto fosse l’Obbligo dettato dall’aver riconosciuto un arricchimento immenso che quello spazio di confronto aveva offerto. E così, vedendo che le branche della psicologia che stavo studiando all’Università poco mi stavano permettendo di mantenere acceso questo senso critico non intellettuale (neanche) ma mistico, di sintonia con il “mio” Vero, mi sono preso una pausa dopo la laurea di ben 6 mesi, in cui mi sono ancora di più immerso in me stesso, nelle mie INCERTEZZE.  E lì, osservando nella quiete il punto in cui ero giunto nella mia vita, con fatica ma con costanza, ho riscoperto un nuovo modo di stare con me stesso, un SENTIMENTO di felicità non condizionata dagli avvenimenti, che mi son posto lo scopo di continuare a mantenere da lì in poi, in ogni attività che avessi compiuto re-inserendomi nel sociale. Questo sentimento me lo sono portato dietro nelle amicizie, in famiglia, nei rapporti professionali (ad esempio con i docenti), ed è per me tuttora l’UNICA VERITA’ CHE CONTA. Continuo a studiare testi di ogni tipo, ma solo per ritrovarci uno spunto/specchio che possa elicitare in me, dall’interno, una nuova intuizione o comprensione autentica di “parti di Verità”, ma non studio più “intellettualmente”, per avere un ancoraggio sicuro dal quale partire per esplorare la Vita. No, mi ci voglio immergere in quel vuoto assoluto nel quale poter sentire la vita. Il silenzio, la quiete interiore, DA DENTRO, nell’inquietudine e angoscia intestinale e addominale, sono indici di Rettitudine nel MIO movimento.

Tutto questo per dire che quando mi sono avvicinato alla G*, l’ho fatto nell’ottica di trovare uno strumento ulteriore per elicitare dal mio interno intuizioni sulla vita, sulla mia vita, sulle mie situazioni passate e presenti di vita. Gli intenti della Scuola immagino siano proprio questi, ma nel corso delle lezioni non sono riuscito a trovare lo Spazio per la mia Libertà, mi sono sentito vincolato nel mio sentire e nel mio criticare dai “paletti” del modello gnostico, così come dal tentare di risolvere i miei sacri dubbi entro il modello, e non tra il modello e quello che io sono. La sola frase “meglio che le persone arrivino qui senza simili conoscenze passate” (riferendoci magari a un percorso spirituale o religioso, o a strumenti di scoperta di sé come la psicologia) è un indice secondo me di un rischio forte di identificazione con la G*, come provavo a dire a lezione, con un modello che invece dev’essere per me solo uno dei tanti “giochi” che si possono fare sulla vita, una delle tante distorsioni, per cui per essere un buon modello esso dovrebbe, alla fine di ogni lezione, RICORDARE CHE LA G* NON E’ LA PANACEA A TUTTI I MALI CHE CAMBIA LA VITA, perché se così fosse, sarebbe questa solo l’illusione di aver trovato una maggiore consapevolezza di sé, in quanto comprensibile solo entro i termini di un modello su come funziona la vita, su cos’è la vita e su cos’è l’uomo, nel fraintendimento di non sapere affatto in realtà cosa siano la vita e l’uomo in sé.

Il presupposto per rimanere aderenti alla vita, ad una realtà “vera”, non distorta, è proprio il fatto che NESSUNO SA COS’E’! Neanche i grandi Maestri, per quanto si siano sforzati e abbiano prodotto così tante ricerche e risultati. Il Maestro S* ad esempio ha fatto il suo, ha passato la sua vita “alla” ricerca, ed è una sincerità dalla quale noi potremo continuare a trarre spunti, risonanze e intuizioni, e probabilmente infatti continuerò a leggere i suoi libri anche dopo aver lasciato il corso. Ma ognuno di noi appunto penso debba fare lo stesso nella propria vita, PARTENDO DA ZERO, dall’esperienza scevra di concetti, sperimentando i propri interrogativi profondi: chi sono io? Cos’è la sofferenza? Chi sono gli altri per me? Che rapporto c’è tra me e il mondo? E la risposta che dà la G* a ognuno di questi interrogativi, se presa per “verità”, per lo meno per me rischia di diventare IL BLOCCO al mio continuo stato di domanda. E’ solo per questo ho deciso di lasciare, come in passato ho deciso di non accontentarmi della visione della vita della psicologia accademica, continuando ad esplorare più “da me”.

Con rispetto, affetto e Cuore

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